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venerdì 31 dicembre 2010

Un bouffon vous souhaite :bon 2011 !

Prendi il nostro popolo...
Non è infatti lo  Stato che dominerà i suoi  amministratori,ma  la  Nazione tutta che  esprimerà uno Stato a  sua  immagine e  somiglianza . Così il nostro Stato futuro,non potendo combattere idee(che  non ci saranno),né reprimere volontà (che non avremo) dovrà limitarsi a regolare e  indirizzare le nostre tendenze apollinee al canto ,all'arte,alla letteratura e  allo sport,riservandosi  il solo controllo  della  Popolarità.Non sei d'accordo? Ma  vorresti forse affidarlo  all'iniziativa  privata?Il nostro futuro si prospetta  quindi lietissimo: cerca  di immaginare  una enorme e  perenne  festa di Piedigrotta,con carri allegorici,tra i quali,naturalmente,il carro dello Stato.
...
Quanto all'assistenza sanitaria,dev'essere  ottima ,visto che non si costruiscono più ospedali( e  si lasciano cadere quelli del '400) ma  soltanto stadi sportivi e  cinematografici.
Ennio Flaiano La solitudine del satiro ( pp.186-7)

giovedì 30 dicembre 2010

libro compagno fedele

Albino  Pierro

NATE'E A TURSE

Struffue e crispèlle

Nd'u piatte cch'i rusette

Dicine n'ata vota:

 iè Natèe ,e u tìvine ca frìiete

ci pàrlete cc 'u cèe

faè nasce tante voce

cchiù duce assèi d'u mée.Nd'i strète c'è n'addore

come di rusmarine

e u fridde l'assincìrite

chi st'aria di matine;Chi fùite, chi chiàmete,

chi sutt'a mascua o 'nmène

(i femmene sutt'u scialle)

portene tutte u ialle.Nd'i chèse si rimìnene,

s'abbràzzene i uagnune

e tutte i cose frùscene

'ncantète com' 'a lune;po quanne s'è scurite

ti pàrete ca i stelle

su' i morte ca s'affollane

'nturne a lu Bambinelle.E tècchete ca sònete

'a chiesia d' 'a Ravatèna

cc' a misse granne e cùrrene

cuntènte i cristiane;ma ié mi stanche preste

di chille cante e scappe,

zumpe da grutte a grutte

nd'i fosse a chèpe suttee allè ci trove 'a nive

e mi ni mange tante

ca si fè ghianche 'a notte

i iè arrivènne sante.



NATALE A TURSI Struffoli e zeppole

nel piatto con le rosette

dicono un'altra volta:

<<è Natale>>;e la padella che frigge

parla col cielo,

fa nascere tante voci

più dolci assai del miele.Nelle strade c'è un odore

come di rosmarino

e il freddo la illimpidisce

quest'aria di mattina;chi fugge, chi chiama,

chi sotto le ascella o in mano

(le donne sotto lo scialle),

portano tutti il gallo.Nelle case si rigirano,

si abbracciano i ragazzi

e tutte le cose fanno rumore

incantate come la luna;poi quando si fa buio

ti sembra che le stelle

siano i morti che s'affollano

attorno al bambinello.Ed eccoti che suona

la chiesa della Rabatana

per la messa grande e corrono

contenti i cristiani;ma io mi stanco presto

di quei canti e scappo,

salto da grotta a grotta

nei fossi a testa in giù;e là trovo la neve

e poi ne mangio tanta

che si fa bianca la notte

e io ridivento santo.

Ricordandola cantata su accordi di chitarra ...

Era pieno inverno.
Soffiava il vento della steppa.
E aveva freddo il neonato nella grotta
Sul pendio della collina.

L'alito del bue lo riscaldava.
Animali domestici
stavano nella grotta,
sulla culla vagava un tiepido vapore.

Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
e i grani di miglio,
dalle rupi guardavano
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.

Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
e recinti e pietre tombali
e stanghe di carri confitte nella neve,
e sul cimitero il cielo tutto stellato.

E lì accanto, mai vista sino allora,
più modesta d'un lucignolo
alla finestrella d'un capanno,
traluceva una stella sulla strada di Betlemme.



Per quella stessa via, per le stesse contrade
degli angeli andavano, mescolati alla folla.
L'incorporeità li rendeva invisibili,
ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.

Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
E a loro, "chi siete? " domandò Maria.
"Noi, stirpe di pastori e inviati del cielo,
siamo venuti a cantare lodi a voi due".
"Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia".

Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
battevano i piedi mulattieri e allevatori.
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
e accanto al tronco cavo dell'abbeverata
mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.

Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,
come granelli di cenere, le ultime stelle.
E della innumerevole folla solo i Magi
Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.

Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
come un raggio di luna dentro un albero cavo.
Invece di calde pelli di pecora,
le labbra d'un asino e le nari d'un bue.

I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla
Sussurravano, trovando a stento le parole.
A un tratto qualcuno, nell'oscurità,
con una mano scostò un poco a sinistra
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
e quello si voltò: dalla soglia, come in visita,
alla Vergine guardava la stella di Natale.

lunedì 29 novembre 2010

sabato 27 novembre 2010

C'est surtout dans la solitude qu'on sent l'avantage de vivre avec quelqu'un qui sait penser.  (Les Confessions)

domenica 21 novembre 2010

Il medium è il messaggio.Se  abbiamo ben  capito,professore,è inutile aprire le lettere, è il postino che  dobbiamo leggere.L'immaginazione  al potere.Ma quale immaginazione accetterà di  restarvi ? La  crisi della  cultura.C'è sempre stata:Shakespeare non sapeva il greco e  Omero non sapeva  l'inglese.
Ennio Flaiano La solitudine del satiro

sabato 20 novembre 2010

Ritornello per andare avanti,qualunque cosa succeda.Ogni rovescio ha la sua medaglia e viceversa...



Ritornello per piangere

Jean Tardieu


(Rassegnato ma chiaroveggente)


Ho appreso molto
e inteso tutto
non ho capito niente
e niente imparato.
Avevo intrapreso
avevo inteso
mi ero perduto
mi sono ripreso
poi ho perso tutto.
Quando hanno capito
che ero perduto
mi hanno atteso
mi hanno compreso
mi hanno confuso
poi tutto mi hanno preso
e per il collo mi hanno appeso.
Dopo avermi impiccato
un premio di virtù
un premio ho avuto.
Allora ho capito:
era tutto perduto.

mercoledì 3 novembre 2010

Molti autori,scrivendo, si  sentono la penna di Shakespeare tra le  mani, molti altri il bastone d'accademico nello  zaino : e  allora nascono  quelle commedie che  hanno l'obbligo di seguitare una tradizione famigliare ,commedie che fanno ritenere l'ingegno come un atto di  volontà,confondono la forza del cervello con quella dei  muscoli e  l'ispirazione con la perseveranza. 
Poi ci sono altri autori  che si "riallacciano" senza saperlo alle forme più classiche perché non pretendono  nient'altro che far divertire con un certo studio di caratteri dei loro personaggi e un'abilità sottomessa al gusto  del  pubblico.
Ennio Flaiano Lo spettatore addormentato (p 34)

giovedì 28 ottobre 2010

IL PROGRAMMA DELLA SERATA
 
ore 18.00: apertura e presentazione, Daniela Zini (5 minuti)
 
ore 18.05: Anna Politkovskaja, l’onore russo, Daniela Zini (20 minuti)
 
ore 18.25: Lettura di un estratto dell’intervista di Giorgio Fornoni ad Anna Politkovskaja Mosca, l’Occidente e la guerra cecena: il j’accuse di Anna (voci: Mariangela Imbrenda e Giuseppe Mortelliti) (35 minuti)
 
ore 19.o0: Intervento di Bruno Torri (15 minuti)
 
ore 19.15: Lettura dell’articolo di Anna Politkovskaja: La confessione di un criminale degli squadroni della morte: tornavamo e li giustiziavamo… (voci: Mariangela Imbrenda e Giuseppe Mortelliti) (5 minuti)
 
ore 19.20: La lezione di Anna: la libertà è indivisibile, Donatella Salina (20 minuti)
 
ore 19.40: Chiusura e saluti
 
La fotografia è curata da Javad Daneshpour.
 
Il programma e il titolo degli interventi potrebbero subire variazioni nel rispetto dei tempi e delle necessità dei relatori e dell’organizzazione della serata.


Venerdì 08 Ottobre,2010 Ore: 22:01


La registrazione del 7/10/2010 www.ildialogo.org

domenica 3 ottobre 2010

Il ciclamino

Verso un nuovo-vecchio inizio, la  costante guida di mio nonno Nicolino.IL CICLAMINO
E’ UN PALLIDO FIORETTO
CHE TEME I GELI E IL SOLE , E SI NASCONDE
VOLENTIERI TRA I CESPUGLI ,
O SULL’ERBOSE SPONDE
D’UN TERSO RUSCELLETTO ,IL CICLAMINO
UN Dì SULL’ERTO SCOGLIO
D’UN ECCELSA MONTAGNA IO LO TROVAI,
E MITE CONTRAPPOSTO ERA ALL’ORGOGLIO
DI QUELLE PIANTE ANNOSE
LA SUA PARVENZA UMILE
E IL SUO COLOR SIMILE
ALLE MESTE D’AUTUNNO ULTIME ROSE .
QUANDO SU QUEI DIRUPI
PREPOTENTE SIGNORE INFURIA IL VENTO,
E ALL’URTO VIOLENTO
SCROSCIANO I RAMI,STRIDONO LE SELVE ,
FUGGONO I MONTANARI E I CACCIATORI,
SI SPARAN GLI AUGELLI
E LE TIMIDE BELVE,
PUR TRANQUILLO E NON VISTO QUEI FIORI,
TRA LA NATIVA ERBETTA ,
IL CICLAMINO ASPETTA CHE TORNINO LE QUETE AURE SERENE ;
COSì L’IMPETUOSA BUFERA CHE CONTRASTA ALL’ALTE CIME ,L’UMILTà NON OFFENDE OVE EI RIPOSA.
NELLA VITA SOVENTE AVVIEN CHE LA FORTEZZA
D’UN GRACIL PETTO è DONO,
E PUò LA GENTILEZZA INNOCENTE E PIEGHEVOLE,
VINCER TALVOLTA DURE BATTAGLIE
IN CUI SCONFITTA è LA
BALDANZA STOLTA.
(ALINDA BONACCI BRUNAMONTI)

domenica 26 settembre 2010


Vision CINEMA
Saartije Baartman, la violenza e lo sguardo
di Mariangla Imbrenda


Venerdì 24 Settembre 2010 12:59

Arriverà in ottobre sugli schermi europei “Venus Noire” il film di Abdellatif Kechiche sulla storia di Saartije Baartman, la “venere ottentotta” nella Parigi inizio Ottocento. Pellicola presentata all'ultima Mostra di Venezia, e aspramente contestata dalla stampa con accuse di voyeurismo e pornografia per il suo stare addosso al corpo esposto della donna.
Meno si è notato, o voluto notare, il vero fil rouge: l'impenetrabilità dello sguardo della ragazza, paradigma dello sfruttamento razziale e culturale senza età, che la camera restituisce al pubblico, ben consapevole a questo punto di rischiare l'immedesimazione con gli spettatori londinesi o parigini di quell'inizio Ottocento...
E' solo nel 2002 che l'Assemblée Nationale francese ha votato la restituzione al Sudafrica degli organi genitali e del cervello di Saartije Baartman, per 150 anni esposti in barattolo al museo, ed invano richiesti dopo la fine dell’apartheid dai capi del popolo khoikhoi e da Nelson Mandela...



"Questi ragionamenti sono spaventosi, padre” dissi a Clément ” portano a gusti crudeli, a gusti orribili”.
“E cosa importa?" replicò il barbaro. “Te lo ripeto ancora una volta, siamo padroni dei nostri gusti? Forse non dovremmo cedere al comando dei gusti che abbiamo ricevuto dalla natura, così come il capo orgoglioso della quercia si piega sotto l'uragano che la investe? Se la natura fosse offesa da questi gusti, non ce li ispirerebbe ; è impossibile che essa ispiri in noi un sentimento fatto per oltraggiarla, e forti di questa certezza, possiamo abbandonarci alle nostre passioni, di qualsiasi genere, di qualsiasi violenza esse siano, con la sicurezza che i danni che ne derivano sono solo disegni della natura di cui noi siamo gli organi involontari. Cosa ci importano le conseguenze di queste passioni? Quando si vuol trarre diletto da un'azione qualsiasi, le conseguenze non c'entrano affatto”.da Justine, Donatien-Alphonse-François de Sade


Nello stesso anno, il 1814, in cui Donatien-Alphonse-François de Sade si spegne malato di congestione polmonare nel manicomio di Charenton, Saartije Baartman arriva a Parigi, e prende alloggio nei pressi del Palais Royal. Nel quartiere, all'epoca luogo di assoluta perdizione, diventerà una vedette. La chiamano con disprezzo “Venere Ottentotta”, qui sperimenterà amaramente la filosofia del boudoir del Divino Marchese.
Quattro anni prima Saartije è arrivata in Europa, per l'esattezza a Londra, dove ha vissuto esibendosi in spettacoli popolari. A lasciare la sua terra d'origine, il Sudafrica, e a tentare una vita migliore in Occidente, l'ha convinta Hendrick Caezar, un europeo per cui ha lavorato come serva, a Città del Capo.
In lei, originaria del popolo khoikhoi, l'uomo ha intravisto un certo non so che di esotico ed una potenziale fonte di lauti guadagni: il corpo enorme della donna, vestito a teatro di un tessuto aderente color carne, diventa infatti subito un'attrazione molto remunerativa.
Due segni tribali posticci sulle gote, qualche collana in metallo che risuona, bracciali massicci ai polsi ed una corona intorno al capo dai capelli cortissimi: sono queste le chincaglierie che Saartije deve indossare per interpretare il ruolo di “ottentotta addomesticata”. Al suo collo è attaccata una catena che il padrone tiene in mano, deve obbedire ai suoi ordini se vuole sperare in qualche minuto di libertà. Lui la obbliga a cantare nenie “selvagge” del suo paese, ad eseguire danze tribali, a gridare, a ruggire come una bestia feroce, a scuotere le natiche e a farsele toccare, palpeggiare: mani libidinose o semplicemente curiose vengono a verificare che la sua è carne vera, e non cuscini. La fronte contratta, le labbra serrate, Saartije sta accucciata in una gabbia di legno al centro del palco, ne esce per esibirsi e ad essa dopo fa inesorabilmente ritorno, gli occhi spenti, immobili nel vuoto.
Questo sguardo che nessuna fonte storica può descrivere o ricostruire è lo specchio muto della società dell'epoca capace di legittimare ogni abuso con la retorica del linguaggio.






Continua su www.womeninthecity.it

domenica 22 agosto 2010

Speciale Giustizia lettera inedita di Enzo Tortora

The First Video Vixon

The First Video Vixon

Saartjie Baartman: Venus noire
Rendere le cose spazialmente e umanamente , più vicine è per le masse attuali un'esigenza vivissima , quanto la tendenza al superamento dell'unicità di qualunque dato mediante la ricezione della sua riproduzione . Ogni giorno si fa valere in modo sempre più incontestabile l'esigenza a impossessarsi dell'oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata nell'immagine ...
Walter Benjamin

venerdì 20 agosto 2010

Dove finisce l’onda
e dove inizia il mare?

Dove finisce il corpo
e dove inizia l’ombra?

Dove finiscono le tenebre
e dove inizia la luce?

Le parole respirano fuori dalla loro cornice
i sensi si increspano e si distendono
simili a un oceano di un cerchio
il cui centro è inesistente.
La luce non ha forma
l’onda non ha confini
l’io non ha facciate
la passione non ha orizzonti.

Sii luce
onda
passione.

Sii te stesso.

A’isha Arna’ut, da Il passaggio dei sensi

sabato 14 agosto 2010

Quante occasioni e quante opportunità, in cui semplicemente ,ogni giorno, papà ha fatto la sua scelta .E' stata la sola onestà a fargli tenere dritta la barra della propria condotta?E' stato il senso del dovere a impedirgli un compromesso anche con sé stesso? E' stata la fedeltà ,l'obbedienza alle leggi e allo Stato?
Io penso di no, credo che mio padre lasci, più di ogni altro esempio , quello di un uomo capace di affermare la propria libertà. Con sé stesso ,rimanendo coerente al proprio pensiero ,alle proprie convinzioni .Con gli altri ,quando ha respinto blandizie e ricatti senza neanche cercare protezioni "politiche",nella consapevolezza che anche quelle potevano avere un prezzo.E'stato libero nel senso più completo del termine ,quello che include la consapevolezza del proprio ruolo .Non istituzionale,di commissario liquidatore ,ma di uomo, di marito, di padre, di cittadino.
Il mondo , in una certa misura,va nella direzione in cui noi vogliamo che vada (anche nella subordinata forma del "permettiamo").Ciascuno di noi è responsabile per qualche grado di questa direzione secondo l'inclinazione che attraversa la nostra quotidianità e che possiamo cambiare con le nostre scelte e con il nostro agire .Nelle piccole e nelle grandi cose : nell'accettare di non fare o di non pretendere una fattura ,di chiedere o non chiedere un permesso che una norma impone , di rispettare o meno i diritti del nostro prossimo , o per esempio delegando ad altri le scelte che dovrebbero impegnarci.Questo è il "potere" che ha ciascuno di noi.
E se in qualche momento,che l'abbiamo cercato o no ,l'esercizio di questo potere coinvolge non solo la nostra vita personale ,ma anche i diritti di altri e implica la responsabilità verso altre persone ,poche o tante che siano, ecco che stiamo facendo politica.
Come è capitato a papà che scrive :"a quarant'anni ,di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito ".


Umberto Ambrosoli "Qualunque cosa succeda"(pp.314-315)

lunedì 9 agosto 2010

"Ciò che accade, accade per Amore

e ciò che grazie all'Amore viene mantenuto

può essere sciolto e annullato solo nell'Amore.

C'è un futuro solo per chi è in sintonia con il passato"

Bert Hellinger

venerdì 6 agosto 2010

indubbio che, in ogni caso, pagherò a caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.

-I nemici comunque non ti aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria ,e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.

Qualunque cosa succeda ,comunque tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto[...]

Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi,verso la famiglia nel senso trascendente che io ho,verso il paese che si chiami Italia o si chiami Europa.

(da “Qualunque cosa succeda” di Umberto Ambrosoli,pp.316-317)

mercoledì 4 agosto 2010

Il carcere ,senza il rispetto della legge, diventa una tortura di Stato.Da una lettera di un detenuto inviata a Radiocarcere (Trasmissione di Radioradicale )

lunedì 26 luglio 2010

Agorà:congiunzione tra cielo e terra nel dovere di indagine di Ipazia .

-Il silenzio di fronte all'assassinio barbaro di un essere umano-una donna-empio perché non crede nel dio di un sanguinario vescovo cristiano e negli antichi emuli pagani,bensì nella Filosofia, sarebbe forse un atto di dovuta Pietà.Per la nuova pellicola di Alejandro Amenàbar,finalmente visibile in Italia,dopo il rischio di feroce censura,la condanna al totale mutismo,all'inanità,ad una non-vita prospettata da Cirillo come parola di Dio riservata alle donne e leggibile nelle sacre scritture,si è detto già troppo ricorrendo a devianti paragoni con altri film storici.

La contemplazione con occhi puri,impregnati soltanto di un fecondo desiderio di verità potrebbe essere la strada più adeguata da percorrere per esperire un testo filmico che nasce, inevitabilmente, come atto di denuncia universale contro ogni fanatismo e violenza sul proprio simile ed ogni creatura: la precarietà della biografia della scienziata nata ad Alessandria d'Egitto intorno al 370 d.C. essendo evidente quanto incolmabile nella sinossi necessita di un generoso abbandono all'ingenuità ,alla naïveté di un Ciaula quando scopre la luna,dell'uomo che in “Amico fragile” assumerebbe un cannibale al giorno per farsi insegnare la sua distanza dalle stelle,o del Romano il cui intercalare rilevato ,acutamente, da Pier Paolo Pasolini,malgrado i millenni di dominazione, rimane invariato -se stupito-:”anvedi”.

Per civismo in “Agorà” prevarichi la “fabula” giacché il banale confinamento all'etichetta di “genere storico” manifesta ,inequivocabilmente ,pigrizia nell'analisi ridotta ben presto alle puerili definizioni di “peplum”o”kolossal” .

Fortunatamente, la cromia non discende da un'imitazione ritrita delle tele di Thomas Cole con l'effetto di una patinata locandina anni '60 nell'ennesimo tentativo di remake di inimitabili capolavori coevi aventi per tema l'Impero Romano e il monoteismo cristiano alle porte,ma attinge al rigore con cui l'artista tout court si interroga sul dramma dell'uomo e nel dolore del dubbio,dell'incapacità di reperire una soluzione esprime innanzitutto la verità del suo animo.

Nella pellicola si possono rilevare due fili conduttori perfettamente paralleli ossia la vicenda di Ipazia e l'estetica impregnata delle opere di due pilastri nella storia dell'arte : Andre Mantegna e Michelangelo,la cui incidenza si verifica in tale ordine di apparizione ,quasi in concomitanza alle progressive scoperte della scienziata che, nel giungere alla formulazione del sistema solare, (sovvertendo il geocentrismo tolemaico attraverso il recupero di antichissime ipotesi di Aristarco) introduce oltre alla figura geometrica -simbolo della perfezione-,il cerchio,la sua versione allungata in una direzione,l'ellisse . Se Ipazia inizialmente concordava nel sostenere che la Terra era al centro dell'universo-la scelta registica nelle inquadrature trascrive, costantemente ,ripete ,letteralmente, il motivo circolare e dunque traduce nella scala dei campi e dei piani l'idea di spazio che Mantegna riserva sfondando la volta con un oculo a pozzo in prospettiva al soffitto della Camera degli Sposi presso il Palazzo Ducale di Mantova-al termine della sua esistenza ribaltando ruoli e figure fa del nostro pianeta una “stella errante”la cui orbita è un 'ellisse con il Sole in uno dei due fuochi :il focus,il climax figurativo del film è raggiunto nella scena finale in cui la donna ( il suo corpo è stato denudato con violenza )uccisa per soffocamento dallo schiavo Davo si abbandona di spalle sostenuta dalle braccia del ragazzo in un'immagine degna, per estrema attenzione ai dettagli riprodotti, della scultura/testamento spirituale di Michelangelo nota come ”Pietà Rondanini”.

Il transito attraverso la “sensata esperienza” con “certa dimostrazione” di un peso lanciato dall'albero maestro di una nave in movimento caduto non obliquamente,ma come se quest'ultima fosse ferma si fa soluzione scientifica esplicandosi nel riconcepimento della perfezione del cerchio allungato in ellisse: a ben osservare le due versioni più note della “Pietà” michelangiolesca evidenziano il medesimo percorso.

La “Pietà” presente a Roma nella Basilica di San Pietro, poiché il suo creatore non prova interesse per la funzione narrativa dell'arte, bensì speculativa ,non mostra soltanto il dolore della madre o lo strazio del corpo di Cristo appena deposto dalla croce,ma entrambi in una congiuntura di vita e morte ottenuta ,visibilmente, nell'intersezione dei due corpi all'altezza del ventre di Maria. Quest'ultimo per le esatte proporzioni diventa il centro di una circonferenza di cui diametri umani sono proprio i due corpi così disposti raggiungendo la perfezione divina .La sublimazione del loro sacrificio resa dalla perfezione del volto , estremamente, giovane della Madonna e dalla finezza alessandrina del cadavere del figlio enuncia il superamento delle fattezze terrene e il raggiungimento di una bellezza ideale:l'uomo è sì soggetto per natura all'invecchiamento,ma in senso morale attraverso la verginità di Maria,la purezza della concezione divina,l'incorruttibilità spirituale trova il suo omologo in quella della carne.

La giovinezza è sinonimo di purezza e l'imperfezione ha la sua origine nel peccato perpetuato nel trascorrere del tempo come un lento e logorante decadimento.

Nell'altra “Pietà”, custodita nel Museo del Castello Sforzesco, sembra di poter leggere quasi una pagina del diario segreto dell'artista il cui pensiero, testimoniato anche nelle lettere e nelle poesie, pone al vertice le idee di morte corporale e vita eterna :madre e figlio sono nuovamente soli nel momento supremo precipitando ambedue verso il basso .Come affermano Adorno e Mastrangelo:«In un primo momento Cristo doveva essere rappresentato con la testa reclinata da un lato : è dimostrato non soltanto dal braccio pendente che resta isolato a sinistra,ma anche da un frammento marmoreo, recuperato recentemente che contiene la testa e che si adatta con esattezza alla statua .Poi ,modificando completamente l'idea iniziale ,Michelangelo ha cambiato le pose per ottenere una maggiore unità fra i due corpi ,stretti nell'ultimo abbraccio ,scarnificati ,privi ormai di ogni peso fisico ,forme spiritualizzate congiunte dall'amore .Quel processo per cui Michelangelo è venuto via via abbandonando ogni elemento classico ( proporzione,ponderazione ,bellezza ideale),ha raggiunto il suo momento culminante. Come Donatello nella Maddalena del Battistero fiorentino,così Michelangelo nella Pietà Rondanini rinnova totalmente la tradizione ,chiude definitivamente un'epoca ,il rinascimento , e getta un ponte con l'avvenire : per l'abbandono completo di ogni rapporto con la realtà visibile ,sia pure idealizzata ,e per la totale espressione del proprio mondo interiore ,non vi è forse opera che abbia, ancora oggi,tanta attualità. ».

Parallelamente alle valutazioni di Ipazia,che suonerebbero come antesignane della rivoluzione copernicana generate da un elogio del dubbio costante,ritenuto unica fonte inesauribile di prospettivismo e virtuosa conoscenza, la risoluzione del cerchio nell'ellisse, umanamente ,realizza l'ammissione della possibilità ontologica di un elemento,dell' opposto e del suo simile ossia il diritto all'esistenza della posa e dello scorcio,della perfezione-canone- e dell'imperfezione,dell'affermazione e della contraddizione della stessa.

Nel film è messa in luce l'essenza di Ipazia,il suo specimen che, contro ogni banale intellettualismo , consiste in una vitale messa in discussione dei numerosi ipse dixit limitanti la ricerca,la speculazione ,la filosofia ossia l'amore per(del) il sapere e assimilabili ad universali forme di violento fanatismo. Rivolgendosi al cristiano Sinesio,la scienziata precorre Kant :«Voi non mettete in discussione quello in cui credete .Non potete .Ma io devo» . Tra i contrari Ipazia trova la naturale armonia senza smentirsi mai. E’ un segno di coerenza sul piano dell'atteggiamento seguito dall'assunzione di responsabilità fattiva. Se ex abrupto una linea retta si fa contorta senza alcun segno o volontà di evoluzione tutto vacilla ,mentre la tensione tra gli opposti ,una loro sintesi opportuna,ma non l’eliminazione spietata di ciò che si è ugualmente stati,in un caparbio rovello senza soluzione di continuità re -alizza il conatus ,lo Streben verso la verità ,la divinità nell'uomo sempre belle perché autentiche.

Profetica risulta l'aspirazione di Ipazia alla comprensione dell'ordine cosmico che, se ottenuta anche “soltanto un po'”, potrebbe felicemente lasciare il posto alla morte:il suo martirio non meno esecrabile dell'analoga uccisione di un santo cristiano, segue immediatamente la formulazione dell'ipotesi di un sistema eliocentrico .

Il capo leggermente reclinato in avanti , segno del guizzo del pensiero in movimento,l'acconciatura

delineante il volto dai tratti nobili ,alti ,leggermente aguzzi ed i movimenti delicati ,ma decisi,consapevoli dell'attrice protagonista Rachel Weisz conferiscono dignità al ruolo interpretato nel dosaggio di dolcezza ,disciplina,candore,rispetto ,amore per il prossimo (non di marca cristiana,ma “umana”) che fanno pendant con la forza ,il potere della mente, l'autorevolezza del rigore metodologico nel tentativo di far emergere il senso stesso dell'attività pedagogica da lei svolta con i suoi allievi composti da pagani e molti convertiti alla nuova fede del re dei Giudei.

Soltanto in lei si legge l'acquisizione, paradossalmente ,per portato genetico in senso storico ed antropologico della Pietas romana termine che impera nella pellicola tra i politeisti dimenticandone tuttavia la definizione di virgiliana memoria tanto da gerere bellum contro invasati guidati dal vescovo Cirillo distruttori della biblioteca d'Alessandria e carnefici di Ipazia ben presto perseguitata poiché empia, prostituta del prefetto Oreste e come nel futuro medioevo “strega” .

Le scarse informazioni biografiche,probabilmente, hanno penalizzato la sostanza dei dialoghi giacché della donna Ipazia si è dovuto costruire un eloquio corrispondente alla modalità espositiva della più nota scienziata,interpretando un quotidiano inafferrabile perché spesso coincidente con l'insegnamento o lo studio e visibile in parte nel rapporto con il padre che pur di non sacrificare la sua libertà vieta di darla in sposa ad uno dei numerosi pretendenti .

(La difficoltà rilevata non deriva da incapacità mostrate in fase di sceneggiatura,ma è oggettiva essendo in gioco problematiche artistiche ,scientifiche e più in generale poietiche legate alla storia di un personaggio realmente vissuto; ad esempio in “Un viaggio chiamato Amore” gli sceneggiatori Heidrun Schleeff e Michele Placido ,regista dell'opera,si trovarono a creare il linguaggio”comune” di due poeti del calibro di Sibilla Aleramo e Dino Campana...)

Ecco pertanto che la dottrina astronomica pervade l'etica di Ipazia che,attraverso similitudini, enuncia il suo pensiero predicando la virtù ,il rispetto per la diversità come fonte di ricchezza: applica così la relazione transitiva (se a = b e b = c, allora a = c ) al rapporto paritario da consolidare con i suoi studenti ribadendo, perentoriamente, la fratellanza come valore universale,motore dell'evoluzione intellettuale umana .

Le risse invece si addicono alla marmaglia e agli schiavi.

La magnanimità di Ipazia si nutre e si feconda continuamente con la professione svolta , vera metafora della sua vita fino ad accogliere tra i suoi studenti anche lo schiavo Davo, segretamente innamorato di lei e neofita della confessione cristiana perché (vagamente )convinto dal miracolo (camminare sul fuoco) compiuto da un “parabolano”(definizione dei primi predicatori dell'insegnamento del Messia)che pur se esperto tiratore di pietre contro i pagani sarà consacrato santo e martire da Cirillo.

L'introduzione di una vicenda privata:l'invaghimento progressivo di Davo che ad un rifiuto risponde con un tentativo di stupro,e soprattutto di un punto di vista di un individuo estremamente giovane ed inesperto della fitta ed intricata trama del mondo in cui conoscere diviene l'unica arma di difesa razionale possibile, mina l'evoluzione del film deviante sulle pene d'amor perdute,sulle preghiere rivolte ad un ipotetico dio convocato soltanto nel momento del bisogno culminanti in un definitivo abbandono dell'amata con adesione alla “fazione” a lei avversa.

La circostanza perde in efficacia biografica per smascherarsi come ripicca per una delusione del cuore e ritorna in un inadeguato quanto sentimentale,da tono romance , flashback finale dei momenti vissuti dal ragazzo accanto alla filosofa: si privilegia dunque il ricordo del primo a discapito del vero ruolo primario e si illustra, velocemente, un percorso di formazione avente il solo pregio,poiché negativo, di indicare la retta via come un exemplum da non seguire.

La fruizione della pellicola come testo filmico e della biografia presentata penalizzata da scelte di montaggio risultanti ingenue quanto banali,poco talentuose stando alle precedenti prove da regista di Amenàbar produce un conflitto nel definire il genere della pellicola,troppo “recitata”e didascalica. Indubbiamente è un “biopic” che affronta però ben poco l'urgenza ,la carica emotiva,il pathos respirato nell'Agorà di Ipazia e riserva maggiore importanza ad effetti speciali di penetrazione nell'hic et nunc attraverso immagini della Terra vista dallo spazio e viceversa,cartine geografiche tracciate direttamente su di un gigantesco mappamondo ecc...

L'equilibrio e l'assenza di polemica gratuita e controproducente che ha impedito ad esempio in Italia l'immediata circolazione di “Agorà” si esplica nella mostrazione dei cristiani e del fanatismo dei parabolani : la realtà non è edulcorata da un anelito sincero nella misericordia divina ,ma da fanatismo, xenofobia ( dopo i Romani , vittime della furia cristiana sono gli Ebrei ,rei di aver ucciso Cristo)misoginia e profonda ignoranza visibili quali “fatti” oggettivi ,senza alcuna esagerazione. Molti pagani si convertirono al cristianesimo per convenienza, per ragioni legate a circostanze più favorevoli socialmente e politicamente dando vita a spedizioni punitive ed atti persecutori contro i cosiddetti “empi” fino a demolire l'enorme patrimonio librario custodito nella biblioteca .

Le inquadrature non sembrano concordare con la statura etica di Ipazia : ne catturano gli occhi volti a fissare il cielo a cui chiede conferme o smentite sulle sue ipotesi ,ma non il significato del gesto e ciò si verifica allo stesso tempo quando “dona” ad Oreste il fazzoletto con il sangue del suo ciclo mestruale per rifiutare la sua proposta di matrimonio volendo redarguirlo sulla natura femminile dietro cui si cela estrema sofferenza e nell'ultimo discorso con il prefetto davanti alla Lupa Capitolina,simbolo della storia dell'Urbe proprio mentre Cirillo “ha già vinto” leggendo durante la messa ed in presenza degli alti funzionari romani il brano tratto dalla Prima lettera a Timoteo (capitolo 2):

9 Allo stesso modo, le donne si vestano in modo decoroso, con pudore e modestia: non di trecce e d'oro o di perle o di vesti lussuose, 10 ma di opere buone, come si addice a donne che fanno professione di pietà. 11 La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. 12 Poiché non permetto alla donna d'insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio.
Per consacrare la “santità” di Ipazia ,si ritorni al silenzio da cui si era partiti: la sua esistenza romanzata produce un eroismo di cui certamente la scienziata non sarebbe stata fiera. Prima di essere catturata dai cristiani rifiuta la protezione dell'esercito romano ,ossia della moderna scorta ,per camminare libera tra le strade della sua città natale. Ha avvertito che è giunta la sua ora?Come si pone davanti al suo assassinio?Ipazia è esclusa dalla sua stessa storia,per scelta registica:il passo al ralenti ,la tunica le cui pieghe aumentano in volume perché attraversate dal vento,il profilo con sguardo impaurito non rendono omaggio all'unico impulso interiore del suo atto di resistenza civile.
La libertà .
Mariangela Imbrenda

Quando la coincidenza proviene da Ipazia

Agorà:congiunzione tra cielo e terra nel dovere di indagine di Ipazia .

-Il silenzio di fronte all'assassinio barbaro di un essere umano-una donna-empio perché non crede nel dio di un sanguinario vescovo cristiano e negli antichi emuli pagani,bensì nella Filosofia, sarebbe forse un atto di dovuta Pietà.Per la nuova pellicola di Alejandro Amenàbar,finalmente visibile in Italia,dopo il rischio di feroce censura,la condanna al totale mutismo,all'inanità,ad una non-vita prospettata da Cirillo come parola di Dio riservata alle donne e leggibile nelle sacre scritture,si è detto già troppo ricorrendo a devianti paragoni con altri film storici.

La contemplazione con occhi puri,impregnati soltanto di un fecondo desiderio di verità potrebbe essere la strada più adeguata da percorrere per esperire un testo filmico che nasce, inevitabilmente, come atto di denuncia universale contro ogni fanatismo e violenza sul proprio simile ed ogni creatura: la precarietà della biografia della scienziata nata ad Alessandria d'Egitto intorno al 370 d.C. essendo evidente quanto incolmabile nella sinossi necessita di un generoso abbandono all'ingenuità ,alla naïveté di un Ciaula quando scopre la luna,dell'uomo che in “Amico fragile” assumerebbe un cannibale al giorno per farsi insegnare la sua distanza dalle stelle,o del Romano il cui intercalare rilevato ,acutamente, da Pier Paolo Pasolini,malgrado i millenni di dominazione, rimane invariato -se stupito-:”anvedi”.

Per civismo in “Agorà” prevarichi la “fabula” giacché il banale confinamento all'etichetta di “genere storico” manifesta ,inequivocabilmente ,pigrizia nell'analisi ridotta ben presto alle puerili definizioni di “peplum”o”kolossal” .

Fortunatamente, la cromia non discende da un'imitazione ritrita delle tele di Thomas Cole con l'effetto di una patinata locandina anni '60 nell'ennesimo tentativo di remake di inimitabili capolavori coevi aventi per tema l'Impero Romano e il monoteismo cristiano alle porte,ma attinge al rigore con cui l'artista tout court si interroga sul dramma dell'uomo e nel dolore del dubbio,dell'incapacità di reperire una soluzione esprime innanzitutto la verità del suo animo.

Nella pellicola si possono rilevare due fili conduttori perfettamente paralleli ossia la vicenda di Ipazia e l'estetica impregnata delle opere di due pilastri nella storia dell'arte : Andre Mantegna e Michelangelo,la cui incidenza si verifica in tale ordine di apparizione ,quasi in concomitanza alle progressive scoperte della scienziata che, nel giungere alla formulazione del sistema solare, (sovvertendo il geocentrismo tolemaico attraverso il recupero di antichissime ipotesi di Aristarco) introduce oltre alla figura geometrica -simbolo della perfezione-,il cerchio,la sua versione allungata in una direzione,l'ellisse . Se Ipazia inizialmente concordava nel sostenere che la Terra era al centro dell'universo-la scelta registica nelle inquadrature trascrive, costantemente ,ripete ,letteralmente, il motivo circolare e dunque traduce nella scala dei campi e dei piani l'idea di spazio che Mantegna riserva sfondando la volta con un oculo a pozzo in prospettiva al soffitto della Camera degli Sposi presso il Palazzo Ducale di Mantova-al termine della sua esistenza ribaltando ruoli e figure fa del nostro pianeta una “stella errante”la cui orbita è un 'ellisse con il Sole in uno dei due fuochi :il focus,il climax figurativo del film è raggiunto nella scena finale in cui la donna ( il suo corpo è stato denudato con violenza )uccisa per soffocamento dallo schiavo Davo si abbandona di spalle sostenuta dalle braccia del ragazzo in un'immagine degna, per estrema attenzione ai dettagli riprodotti, della scultura/testamento spirituale di Michelangelo nota come ”Pietà Rondanini”.

Il transito attraverso la “sensata esperienza” con “certa dimostrazione” di un peso lanciato dall'albero maestro di una nave in movimento caduto non obliquamente,ma come se quest'ultima fosse ferma si fa soluzione scientifica esplicandosi nel riconcepimento della perfezione del cerchio allungato in ellisse: a ben osservare le due versioni più note della “Pietà” michelangiolesca evidenziano il medesimo percorso.

La “Pietà” presente a Roma nella Basilica di San Pietro, poiché il suo creatore non prova interesse per la funzione narrativa dell'arte, bensì speculativa ,non mostra soltanto il dolore della madre o lo strazio del corpo di Cristo appena deposto dalla croce,ma entrambi in una congiuntura di vita e morte ottenuta ,visibilmente, nell'intersezione dei due corpi all'altezza del ventre di Maria. Quest'ultimo per le esatte proporzioni diventa il centro di una circonferenza di cui diametri umani sono proprio i due corpi così disposti raggiungendo la perfezione divina .La sublimazione del loro sacrificio resa dalla perfezione del volto , estremamente, giovane della Madonna e dalla finezza alessandrina del cadavere del figlio enuncia il superamento delle fattezze terrene e il raggiungimento di una bellezza ideale:l'uomo è sì soggetto per natura all'invecchiamento,ma in senso morale attraverso la verginità di Maria,la purezza della concezione divina,l'incorruttibilità spirituale trova il suo omologo in quella della carne.

La giovinezza è sinonimo di purezza e l'imperfezione ha la sua origine nel peccato perpetuato nel trascorrere del tempo come un lento e logorante decadimento.

Nell'altra “Pietà”, custodita nel Museo del Castello Sforzesco, sembra di poter leggere quasi una pagina del diario segreto dell'artista il cui pensiero, testimoniato anche nelle lettere e nelle poesie, pone al vertice le idee di morte corporale e vita eterna :madre e figlio sono nuovamente soli nel momento supremo precipitando ambedue verso il basso .Come affermano Adorno e Mastrangelo:«In un primo momento Cristo doveva essere rappresentato con la testa reclinata da un lato : è dimostrato non soltanto dal braccio pendente che resta isolato a sinistra,ma anche da un frammento marmoreo, recuperato recentemente che contiene la testa e che si adatta con esattezza alla statua .Poi ,modificando completamente l'idea iniziale ,Michelangelo ha cambiato le pose per ottenere una maggiore unità fra i due corpi ,stretti nell'ultimo abbraccio ,scarnificati ,privi ormai di ogni peso fisico ,forme spiritualizzate congiunte dall'amore .Quel processo per cui Michelangelo è venuto via via abbandonando ogni elemento classico ( proporzione,ponderazione ,bellezza ideale),ha raggiunto il suo momento culminante. Come Donatello nella Maddalena del Battistero fiorentino,così Michelangelo nella Pietà Rondanini rinnova totalmente la tradizione ,chiude definitivamente un'epoca ,il rinascimento , e getta un ponte con l'avvenire : per l'abbandono completo di ogni rapporto con la realtà visibile ,sia pure idealizzata ,e per la totale espressione del proprio mondo interiore ,non vi è forse opera che abbia, ancora oggi,tanta attualità. ».

Parallelamente alle valutazioni di Ipazia,che suonerebbero come antesignane della rivoluzione copernicana generate da un elogio del dubbio costante,ritenuto unica fonte inesauribile di prospettivismo e virtuosa conoscenza, la risoluzione del cerchio nell'ellisse, umanamente ,realizza l'ammissione della possibilità ontologica di un elemento,dell' opposto e del suo simile ossia il diritto all'esistenza della posa e dello scorcio,della perfezione-canone- e dell'imperfezione,dell'affermazione e della contraddizione della stessa.

Nel film è messa in luce l'essenza di Ipazia,il suo specimen che, contro ogni banale intellettualismo , consiste in una vitale messa in discussione dei numerosi ipse dixit limitanti la ricerca,la speculazione ,la filosofia ossia l'amore per(del) il sapere e assimilabili ad universali forme di violento fanatismo. Rivolgendosi al cristiano Sinesio,la scienziata precorre Kant :«Voi non mettete in discussione quello in cui credete .Non potete .Ma io devo» . Tra i contrari Ipazia trova la naturale armonia senza smentirsi mai. E’ un segno di coerenza sul piano dell'atteggiamento seguito dall'assunzione di responsabilità fattiva. Se ex abrupto una linea retta si fa contorta senza alcun segno o volontà di evoluzione tutto vacilla ,mentre la tensione tra gli opposti ,una loro sintesi opportuna,ma non l’eliminazione spietata di ciò che si è ugualmente stati,in un caparbio rovello senza soluzione di continuità re -alizza il conatus ,lo Streben verso la verità ,la divinità nell'uomo sempre belle perché autentiche.

Profetica risulta l'aspirazione di Ipazia alla comprensione dell'ordine cosmico che, se ottenuta anche “soltanto un po'”, potrebbe felicemente lasciare il posto alla morte:il suo martirio non meno esecrabile dell'analoga uccisione di un santo cristiano, segue immediatamente la formulazione dell'ipotesi di un sistema eliocentrico .

Il capo leggermente reclinato in avanti , segno del guizzo del pensiero in movimento,l'acconciatura

delineante il volto dai tratti nobili ,alti ,leggermente aguzzi ed i movimenti delicati ,ma decisi,consapevoli dell'attrice protagonista Rachel Weisz conferiscono dignità al ruolo interpretato nel dosaggio di dolcezza ,disciplina,candore,rispetto ,amore per il prossimo (non di marca cristiana,ma “umana”) che fanno pendant con la forza ,il potere della mente, l'autorevolezza del rigore metodologico nel tentativo di far emergere il senso stesso dell'attività pedagogica da lei svolta con i suoi allievi composti da pagani e molti convertiti alla nuova fede del re dei Giudei.

Soltanto in lei si legge l'acquisizione, paradossalmente ,per portato genetico in senso storico ed antropologico della Pietas romana termine che impera nella pellicola tra i politeisti dimenticandone tuttavia la definizione di virgiliana memoria tanto da gerere bellum contro invasati guidati dal vescovo Cirillo distruttori della biblioteca d'Alessandria e carnefici di Ipazia ben presto perseguitata poiché empia, prostituta del prefetto Oreste e come nel futuro medioevo “strega” .

Le scarse informazioni biografiche,probabilmente, hanno penalizzato la sostanza dei dialoghi giacché della donna Ipazia si è dovuto costruire un eloquio corrispondente alla modalità espositiva della più nota scienziata,interpretando un quotidiano inafferrabile perché spesso coincidente con l'insegnamento o lo studio e visibile in parte nel rapporto con il padre che pur di non sacrificare la sua libertà vieta di darla in sposa ad uno dei numerosi pretendenti .

(La difficoltà rilevata non deriva da incapacità mostrate in fase di sceneggiatura,ma è oggettiva essendo in gioco problematiche artistiche ,scientifiche e più in generale poietiche legate alla storia di un personaggio realmente vissuto; ad esempio in “Un viaggio chiamato Amore” gli sceneggiatori Heidrun Schleeff e Michele Placido ,regista dell'opera,si trovarono a creare il linguaggio”comune” di due poeti del calibro di Sibilla Aleramo e Dino Campana...)

Ecco pertanto che la dottrina astronomica pervade l'etica di Ipazia che,attraverso similitudini, enuncia il suo pensiero predicando la virtù ,il rispetto per la diversità come fonte di ricchezza: applica così la relazione transitiva (se a = b e b = c, allora a = c ) al rapporto paritario da consolidare con i suoi studenti ribadendo, perentoriamente, la fratellanza come valore universale,motore dell'evoluzione intellettuale umana .

Le risse invece si addicono alla marmaglia e agli schiavi.

La magnanimità di Ipazia si nutre e si feconda continuamente con la professione svolta , vera metafora della sua vita fino ad accogliere tra i suoi studenti anche lo schiavo Davo, segretamente innamorato di lei e neofita della confessione cristiana perché (vagamente )convinto dal miracolo (camminare sul fuoco) compiuto da un “parabolano”(definizione dei primi predicatori dell'insegnamento del Messia)che pur se esperto tiratore di pietre contro i pagani sarà consacrato santo e martire da Cirillo.

L'introduzione di una vicenda privata:l'invaghimento progressivo di Davo che ad un rifiuto risponde con un tentativo di stupro,e soprattutto di un punto di vista di un individuo estremamente giovane ed inesperto della fitta ed intricata trama del mondo in cui conoscere diviene l'unica arma di difesa razionale possibile, mina l'evoluzione del film deviante sulle pene d'amor perdute,sulle preghiere rivolte ad un ipotetico dio convocato soltanto nel momento del bisogno culminanti in un definitivo abbandono dell'amata con adesione alla “fazione” a lei avversa.

La circostanza perde in efficacia biografica per smascherarsi come ripicca per una delusione del cuore e ritorna in un inadeguato quanto sentimentale,da tono romance , flashback finale dei momenti vissuti dal ragazzo accanto alla filosofa: si privilegia dunque il ricordo del primo a discapito del vero ruolo primario e si illustra, velocemente, un percorso di formazione avente il solo pregio,poiché negativo, di indicare la retta via come un exemplum da non seguire.

La fruizione della pellicola come testo filmico e della biografia presentata penalizzata da scelte di montaggio risultanti ingenue quanto banali,poco talentuose stando alle precedenti prove da regista di Amenàbar produce un conflitto nel definire il genere della pellicola,troppo “recitata”e didascalica. Indubbiamente è un “biopic” che affronta però ben poco l'urgenza ,la carica emotiva,il pathos respirato nell'Agorà di Ipazia e riserva maggiore importanza ad effetti speciali di penetrazione nell'hic et nunc attraverso immagini della Terra vista dallo spazio e viceversa,cartine geografiche tracciate direttamente su di un gigantesco mappamondo ecc...

L'equilibrio e l'assenza di polemica gratuita e controproducente che ha impedito ad esempio in Italia l'immediata circolazione di “Agorà” si esplica nella mostrazione dei cristiani e del fanatismo dei parabolani : la realtà non è edulcorata da un anelito sincero nella misericordia divina ,ma da fanatismo, xenofobia ( dopo i Romani , vittime della furia cristiana sono gli Ebrei ,rei di aver ucciso Cristo)misoginia e profonda ignoranza visibili quali “fatti” oggettivi ,senza alcuna esagerazione. Molti pagani si convertirono al cristianesimo per convenienza, per ragioni legate a circostanze più favorevoli socialmente e politicamente dando vita a spedizioni punitive ed atti persecutori contro i cosiddetti “empi” fino a demolire l'enorme patrimonio librario custodito nella biblioteca .

Le inquadrature non sembrano concordare con la statura etica di Ipazia : ne catturano gli occhi volti a fissare il cielo a cui chiede conferme o smentite sulle sue ipotesi ,ma non il significato del gesto e ciò si verifica allo stesso tempo quando “dona” ad Oreste il fazzoletto con il sangue del suo ciclo mestruale per rifiutare la sua proposta di matrimonio volendo redarguirlo sulla natura femminile dietro cui si cela estrema sofferenza e nell'ultimo discorso con il prefetto davanti alla Lupa Capitolina,simbolo della storia dell'Urbe proprio mentre Cirillo “ha già vinto” leggendo durante la messa ed in presenza degli alti funzionari romani il brano tratto dalla Prima lettera a Timoteo (capitolo 2):

9 Allo stesso modo, le donne si vestano in modo decoroso, con pudore e modestia: non di trecce e d'oro o di perle o di vesti lussuose, 10 ma di opere buone, come si addice a donne che fanno professione di pietà. 11 La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. 12 Poiché non permetto alla donna d'insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio.
Per consacrare la “santità” di Ipazia ,si ritorni al silenzio da cui si era partiti: la sua esistenza romanzata produce un eroismo di cui certamente la scienziata non sarebbe stata fiera. Prima di essere catturata dai cristiani rifiuta la protezione dell'esercito romano ,ossia della moderna scorta ,per camminare libera tra le strade della sua città natale. Ha avvertito che è giunta la sua ora?Come si pone davanti al suo assassinio?Ipazia è esclusa dalla sua stessa storia,per scelta registica:il passo al ralenti ,la tunica le cui pieghe aumentano in volume perché attraversate dal vento,il profilo con sguardo impaurito non rendono omaggio all'unico impulso interiore del suo atto di resistenza civile.
La libertà .
Mariangela Imbrenda